
Scene non vissute #1 L'attimo prima del silenzio– Recensione critica
In questa composizione sospesa tra sogno e metropoli, l’immagine cattura un istante che sembra trattenere il respiro. Una donna salta nel vuoto di una strada notturna di New York, non per fuggire né per cadere, ma per restare. È un gesto che non ha meta, ma solo significato: il desiderio, l’ignoto, la tensione tra ciò che vorremmo trattenere e ciò che ci sfugge.
Alla finestra, c’è l’autore: non si sa se stia guardando fuori o dentro di sé. Di fronte, una figura femminile che fuma — ferma, distante — rappresenta la memoria o l’oblio. Entrambe osservano, ma non intervengono. Nessuno comunica, eppure tutto parla.
Il taxi giallo, icona del movimento urbano, attraversa la scena come simbolo del tempo che corre, delle occasioni che passano, o forse delle partenze che non si compiono mai. La cabina telefonica resta illuminata ma vuota: una promessa di comunicazione, rimasta inascoltata.
E infine il poster, vestigia di un gruppo musicale sull’orlo della rottura, diventa simbolo del passato che affiora: ciò che era condiviso ora è frammentato, lasciando solo tracce visive, come una canzone che non viene più suonata.
Questa scena non è mai avvenuta, eppure la riconosciamo. È un ricordo costruito, un frammento di noi stessi che si manifesta in una notte qualunque, senza tempo.

Scene non vissute #2 Qualcosa sta per accadere– Recensione critica
la protagonista è colta in un momento di assoluta sospensione. Il suo corpo, eretto e immobile, emerge come una colonna rossa nel fluire rapido di una metropolitana in corsa. La scena vibra di contrasti: movimento e stasi, anonimato e presenza, caos e consapevolezza.
Il cappotto rosso che indossa diventa un segnale visivo potentissimo: non solo richiama l’attenzione, ma afferma identità, decisione, vulnerabilità esposta. Il colore, caldo e carnale, si oppone al freddo blu e verde dello sfondo, creando un cortocircuito emotivo che disorienta e affascina. È come se il tempo stesso avesse smesso di funzionare attorno a lei, mentre la donna si sottrae alle logiche della fretta, del passaggio, della destinazione.
Il suo sguardo rivolto verso l’alto — verso qualcosa che non vediamo — rafforza il senso di attesa indefinita. Non è chiaro se stia cercando una via d’uscita, osservando un segnale, o ascoltando qualcosa dentro di sé. In questo gesto, semplice ma carico di intensità, si condensa un’intera narrazione interiore.
Il treno in movimento suggerisce la frenesia della vita moderna, l’automatismo dei gesti quotidiani, il fluire del tempo. Ma lei è fuori sincrono, intenzionalmente. Come se fosse l’unica consapevole in un mondo ipnotizzato dalla velocità. È un’icona di resistenza silenziosa, una figura mitica in un contesto urbano.
In questa immagine non accade nulla — eppure tutto è sul punto di accadere

Scene non vissute #3 I ricordi del futuro – Recensione critica
Nel panorama visivo costruito da questa fotografia, l’artista mette in scena un'immagine fortemente evocativa, in bilico tra apocalisse e memoria, sogno e documento. I ricordi del futuro si impone subito come un titolo ossimorico, uno slittamento temporale che invita a pensare a ciò che non è ancora accaduto ma già porta con sé il peso della nostalgia. È un tempo ipotetico e malinconico, congelato come la scena stessa.
L’inquadratura centrale, con la prospettiva che conduce l’occhio verso l’orizzonte scomparso nella tempesta, suggerisce un cammino interrotto. Il furgone abbandonato – svuotato, arrugginito, consumato dalla salsedine – diventa reliquia di un passaggio umano ormai svanito. Sulla strada, il simbolo sbiadito della Route 66, leggibile solo in parte, funge da segnale spettrale: un richiamo a un immaginario americano decaduto, quasi post-atomico, in cui il mito del viaggio e della libertà si è arenato.
Ma è l’aggiunta delle tre ombre in basso a introdurre l’elemento più perturbante: presenze non identificate che osservano, testimoni silenziosi o fantasmi del passato. Non hanno corpo, solo proiezione: potrebbero essere i protagonisti mancati della scena o gli spettatori interni di questo “ricordo del futuro”. La loro posizione, defilata e anonima, ci ricorda che anche chi guarda è parte della narrazione.
L’intera immagine è costruita su un impasto visivo drammatico, quasi cinematografico: l’alto contrasto, i toni freddi, il cielo tempestoso e la spiaggia deserta rinforzano un senso di sospensione, come in un fotogramma rubato a un film che non esiste. La fotografia non vuole spiegare, ma evocare.
Con Scene non vissute, l’autore sembra costruire un atlante di realtà alternative, in cui ogni scatto è frammento di una storia rimossa, forse mai accaduta, ma viscerale e riconoscibile nel profondo dell’immaginario collettivo. In questo contesto, I ricordi del futuro è una delle visioni più potenti: una riflessione sul tempo, sull’abbandono e sulla natura fragile della memoria – anche quella che non abbiamo ancora costruito.

Scene non vissute #4 Punto di non ritorno – Recensione critica
In Punto di non ritorno, l’autore mette in scena un atto silenzioso di resistenza: una figura femminile sola, seduta al centro di una strada rurale, interrompe la continuità del paesaggio come se fosse un punto esclamativo all’interno di una frase interrotta. L’immagine è costruita con una rigorosa simmetria, ma è la dissonanza emotiva che la abita a generare tensione narrativa.
L’estetica cinematografica — cifra stilistica ormai riconoscibile dell’intera serie — si piega qui verso un tono sospeso, malinconico, quasi beckettiano. L’inquadratura ampia e orizzontale accentua la condizione di isolamento, mentre il cielo basso e drammatico grava sull’inazione come un peso. La luce, filtrata da nubi inquiete, contribuisce a un senso di tempo fermo e luogo indefinito, elementi ricorrenti nell’universo visivo dell’autore.
L’uso della valigia come oggetto narrativo non è accessorio: diventa simbolo di transizione negata, di una partenza mancata o forse di un ritorno impossibile. La giovane donna non guarda altrove, non si distrae: fissa l’osservatore con lo stesso enigma con cui fissa il proprio destino. In questo sguardo frontale c’è più sfida che attesa, più consapevolezza che smarrimento.
Punto di non ritorno riflette sul momento in cui le scelte non sono più reversibili, ma non lo fa gridando. L’immagine lavora per sottrazione, come un sussurro che resta nella mente. È una scena che potrebbe non essere mai avvenuta — eppure parla a chiunque abbia mai esitato davanti a un bivio.
L’opera si inserisce con coerenza nella serie Scene non vissute, rafforzandone la poetica del margine, dell’incompiuto, del tempo mentale. È un frammento narrativo che lascia spazio all’interpretazione, ma che non rinuncia a una sua forza visiva netta, asciutta, emotivamente carica.

Scene non vissute #5 Guility Mind – Recensione critica
In questo nuovo frammento della serie Scene non vissute, l’autore mette in scena se stesso, rinchiuso in una stanza spoglia che è insieme cella fisica e luogo mentale. Guilty Mind è un titolo che rimanda a una condanna silenziosa, a una sentenza non emessa da un tribunale, ma dalla coscienza. Il protagonista – che è anche autore – siede al centro, immobile, con lo sguardo dritto verso l’osservatore, costringendoci a entrare nella sua prigione interiore.
L’ambiente è minimale, ma carico di simbolismo. Le pareti bianche sono contaminate da parole e disegni primordiali: “Not enough”, occhi, spirali, scarabocchi. Sono pensieri che si aggrovigliano, frasi non dette, visioni disturbanti emerse da un inconscio in tumulto. La luce che entra dalla finestra alle sue spalle – unica fonte di fuga visiva – non illumina né libera: evidenzia l’isolamento, lo mette a nudo.
La tuta arancione che indossa richiama l’immaginario carcerario, ma qui diventa anche un abito dell’espiazione: indumento simbolico di una colpa indefinita, forse non commessa, forse solo temuta. Sulla divisa appaiono segni criptici, frammenti che rimandano a un’identità in frantumi. È un io scomposto che si osserva da dentro, diviso tra rimorso, paura e confusione.
La centralità dell’inquadratura e la simmetria dell’ambiente rafforzano l’effetto claustrofobico: non c’è movimento, non c’è via d’uscita. Ma allo stesso tempo, è proprio in questa immobilità che si apre un varco: Guilty Mind è anche un atto di coraggio, un’esposizione radicale. La fotografia diventa autoritratto psichico, documento di una crisi esistenziale universale.
Con questa opera, l’artista spinge ancora oltre il confine tra realtà e finzione. Se le Scene non vissute sono ricordi inventati, visioni sospese tra possibile e immaginario, Guilty Mind ne rappresenta la vertigine più profonda: quella di non sapere se si è vittime, colpevoli o semplici testimoni del proprio smarrimento. In questo senso, l’immagine si fa confessione muta, sospesa nel tempo e nello spazio, come un sogno inquieto da cui non ci si riesce a svegliare.